E’ la domanda che si sono posti i ricercatori di una ricerca apparsa su Jama Oncology: usare come un vero e proprio farmaco l’attività fisica per rallentare la progressione del tumore alla prostata nei soggetti in sorveglianza attiva. Molti tipi di tumore prostatico infatti hanno una progressione lenta e non necessitano di un intervento. Semplicemente si imposta un programma di ‘attesa vigile’ con controlli periodici al fine di monitorare gli sviluppi della malattia. 

Sorvegliare però non significa stare a osservare con le mani in mano, ma è una ottima occasione per pensare ad una prevenzione ‘parziale’ in cui si mettono in atto comportamenti e cambiamenti dello stile di vita per diminuire i rischi di progressione della malattia in atto o di sviluppo di altre condizioni. 

Il movimento è noto essere un potente ‘medicinale’ e un pilastro della prevenzione di moltissime malattie, eppure è una delle attività meno seguite: solo il 40% degli europei infatti svolge movimento regolare con i fatidici 150 minuti a settimana o più. 

Il restante si muove troppo poco, tanto che in alcuni casi i medici stanno pensando di prescrivere l’esercizio fisico proprio con una ricetta. 

Ma torniamo allo studio condotto dal dottor Kerry Courneya dell’Università canadese di Alberta: i 52 pazienti arruolati sono stati invitati a partecipare ad un programma di esercizi ad alta intensità di 12 settimane allo scopo di aumentare il consumo di ossigeno, obiettivo brillantemente raggiunto con un incremento da 0,5 mL/kg/min prima del training a 0,9 mL/kg/min dopo tre mesi. Soprattutto al termine delle 12 settimane sono stati analizzati i livelli di antigene prostatico, il marker classico dell’andamento del tumore alla prostata constatandone la diminuzione oltre al rallentamento della crescita delle cellule cancerose.  

Effetto collaterale positivo è quello di migliorare la salute cardiovascolare: le persone con cancro alla prostata hanno infatti un rischio tre volte maggiore di morire per cause cardiache. Mentre l’attività fisica regolare è in grado di rallentare la progressione del cancro ed evitare un trattamento chirurgico di asportazione nei dieci anni successivi. 

Lo studio ERASE, acronimo di Exercise During Active Surveillance for Prostate Cancer ha incluso 52 soggetti 

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