Un recente e ampio studio che ha preso in esame i dati dei registri sanitari svedesi su oltre 1,2 milioni di uomini ha correlato due fenomeni: il ricorso a tecniche di procreazione assistita a seguito di una diagnosi di infertilità e un più elevato rischio di  sviluppo di forme di cancro alla prostata prima dei 55 anni.

La ricerca ha identificato i padri e i primi figli nati in Svezia tra il 1994 e il 2014 trovando che il rischio di avere un cancro alla prostata era triplo in quelli ricorsi ad una ICSI rispetto a quelli del gruppo di controllo. Gli uomini ricorsi  alla tecnica ICSI mostravano un rischio più elevato del 60% e quelli la cui prole era nata con una FIVET era del 30% rispetto al gruppo di controllo che non aveva problemi di fertilità.

Nonostante lo studio osservazionale non abbia consentito di stabilire con certezza un rapporto causa-effetto, un successivo editoriale apparso sul British Medical Journal ha proposto delle ipotesi come una associazione tra le alterazioni del cromosoma Y note per essere causa di gravi forme di infertilità e geni dello stesso cromosoma noti per essere strettamente collegati al cancro alla prostata. Ma non solo: anche una mutazione nei fattori genetici e epigenetici di riparazione del DNA potrebbero essere corresponsabili di entrambi i fenomeni.

Quello tra infertilità maschile e cancro era una relazione già sottolineata nel 2010 da uno studio condotto all’NIH americano: l’infertilità nel campione preso in esame, raddoppiava il rischio di forme aggressive di cancro.

L’individuazione di questo collegamento potrà essere preziosa per intercettare precocemente  alterazioni dei livelli di PSA prostatico e potrebbe portare ad una specifica raccomandazione di controlli periodici negli uomini che sì avviano a procedure di procreazione assistita.

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