Ricorrervi solo in caso di assoluta necessità e rimuoverlo il prima possibile. È questo
l’invito lanciato dalle pagine di Jama Internal Medicine ai medici riguardo all’uso del
catetere uretrale.
L’allarme segue i risultati di uno studio condotto su oltre 2 mila pazienti da cui è emerso
che il tubicino piazzato nella vescica attraverso l’uretra (usato quasi di routine in caso di
interventi chirurgici) non solo aumenta il rischio di infezioni del tratto urinario, ma causa
altri disturbi, sia urinari che sessuali che possono insorgere anche dopo le dimissioni e a
distanza di tempo dalla rimozione.
Se sino ad oggi le infezioni erano l’effetto collaterale più comune, il nuovo studio ha
sottolineato che l’incidenza di complicanze non infettive sono 5 volte maggiori.
Le interviste condotte su un gruppo di pazienti chirurgici americani sono state condotte in
due momenti differenti: la prima volta dopo due settimane dall’inserimento del catetere e
la seconda dopo un mese. I tre quarti della popolazione coinvolta nell’indagine era
rappresentata da uomini.
Nel 76 per cento dei casi il catetere era stato rimosso nell’arco di tre giorni. Il 57 per cento
degli intervistati ha dichiarato di avere avuto almeno una complicazione: il 10 per cento ha
avuto un’infezione, il 31 per cento ha sentito dolore e il 10% ha avuto sanguinamento al
momento della rimozione o nei giorni successivi. Oltre ad un 50% che ha dichiarato di
avere limitazioni nelle loro attività quotidiane e sociali.
“Ma i problemi non finivano con la rimozione del dispositivo: il 20 per cento dei pazienti ha
dichiarato di aver sofferto di perdite urinarie dopo la rimozione, mentre il 5 per cento ha
riportato problemi sessuali” così come spiegato da Sanjay Saint, della VA Ann Arbor
Healthcare System, professore all’University of Michigan e principale autore dello studio.
Data l'alta incidenza di queste complicanze riportate dal paziente, le complicanze non
infettive associate al catetere uretrale dovrebbero essere al centro degli sforzi di
sorveglianza e prevenzione».